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Freezing o comportamento di congelamento

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E' una cosa che mi capita di frequente. Posso stare anche un'ora "congelata" e scopro solo ora che ha un nome. A voi capita??

"FREEZING, IL GELO NELLA MENTE

Si definisce “freezing” il totale o parziale “congelamento” dei movimenti da parte della persona che sta vivendo la situazione di emergenza. Nella storia dei disastri non mancano esempi eclatanti di tale forma di “congelamento”.

A proposito dell'incidente navale del 28 settembre 1994 nel Mar Baltico, in cui il traghetto Estonia affondò provocando la morte di 852 persone, un superstite raccontò che molte persone erano rimaste immobili in stato di shock. “Io non capivo perché non facessero niente per salvarsi”, aggiunse, “erano sedute inermi e sono state sommerse dall'acqua”.

Reazioni di congelamento e rallentamento si sono verificate anche durante l'attentato aereo alle Twin Towers dell'11 settembre. Secondo gli studi del National Institute of Standards and Technology (NIST), è stato stimato che le 15.000 persone presenti nel WTC hanno aspettato in media sei minuti prima di iniziare l'evacuazione degli edifici (ben mille si sono prese il tempo di spegnere il computer!) e hanno impiegato in media circa un minuto per ogni piano, il doppio di quanto previsto dagli standard di sicurezza più volte collaudati.

 

COME SI PRODUCE IL FREEZING

Nel freezing si possono distinguere due fasi: un'iniziale paralisi cognitiva, generata da una disfunzione del Sistema Attenzionale di Supervisione, e una successiva prolungata “ipoattività” globale, prodotta da una scissione tra funzioni cognitive e affettive. La prima dipenderebbe dalla corteccia prefrontale, la seconda dall giro cingolato. Vediamo meglio di che si tratta.

 

Per capire il fenomeno del freezing, bisogna ricordare che il cervello umano attua la maggior parte dei suoi comportamenti grazie all'attivazione di “routine”, o “schemi d'azione”, già presenti in memoria e che richiedono uno scarso controllo attenzionale. Quando sopraggiunge un conflitto tra diverse routine d'azione, o quando nessuna routine è adatta a far fronte al compito (come può avvenire in situazioni di emergenza), allora interviene il Sistema Attenzionale di Supervisione. Questo sistema cognitivo ha la funzione di mantenere vivi gli obiettivi che devono essere perseguiti, di programmare una strategia adatta, di controllarne l'efficacia e, se necessario, di cambiarla.

 

E' dunque evidente come il cervello risponda in tempi diversi al pericolo, a seconda che la routine di salvataggio sia già presente in memoria, che ne sia presente una simile e comunque attuabile in quella circostanza, oppure che non ne sia presente alcuna. In linea di massima si può dire che:

1) se una risposta appropriata all'evento è già stata preparata e immagazzinata nel database cognitivo degli schemi comportamentali, la velocità di attuazione di una risposta pertinente è di 100 millisecondi, ossia immediata;

2) se sono presenti più risposte attuabili, è necessario un processo decisionale per scegliere la più corretta e in questo caso il cervello ha bisogno di 1-2 secondi per discriminare fra le alternative;

3) se in memoria non esiste una risposta comportamentale adeguata, questa dovrà essere cercata dal Sistema Attenzionale di Supervisione; ciò necessita di almeno 8-10 secondi in condizioni ottimali, tempo che in caso di pericolo aumenta considerevolmente. Se la funzionalità del Sistema Attenzionale di Supervisione risulta compromessa, appaiono fenomeni di freezing.

I comportamenti di freezing potrebbero rappresentare risposte ancestrali, molto probabilmente adattive in scenari di tipo evoluzionistico. Anche in una prospettiva ecologica il congelamento dei movimenti potrebbe essere considerato come un automatismo che aumenta le probabilità di sopravvivenza in caso di attacco: questa reazione, ad esempio, è tipica degli animali che si fingono morti per evitare di essere sbranati dai predatori, che solitamente non divorano le carogne.

Alcune reazioni di immobilità tonica si possono manifestare anche nella specie umana in situazioni “predatorie”, come quelle vissute dalle donne vittime di violenze sessuali, ma rimangono nella maggioranza dei casi altamente disfunzionali.

Per questo tra i professionisti che operano in scenari a rischio le esercitazioni e le simulazioni consentono di produrre schemi comportamentali automatici per prevenire la paralisi cognitiva.

 

 

 

 

Tratto da: "Il gelo nella mente. Il comportamento umano nel pericolo"

Scritto da Luca Pietrantoni, Alberto Dionigi   

Psicologia Contemporanea, n. 192 - 2005 - pagg. 58-65"


Fonte:

https://www.facebook.com/notes/psicologia-contemporanea-pagina-ufficiale/il-comportamento-umano-nel-pericolo-seconda-parte/264769883589922




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